Non c’è due senza tre

Tiziana Arnone
5 min readMay 27, 2019
questa foto l’ho fatta io.

Ho preso mia figlia da scuola. La solita routine del venerdì, poi. Lanciarla in palestra, andare alle prove. In più, tenere gli occhi aperti per non dormire, perché quel venerdì pomeriggio ero molto stanca.

Tutta la stanchezza della settimana mi stava cadendo addosso eppure mi sentivo cazzuta. Attraversata da un’energia primordiale .

Mi ero vestita di verde, uno dei miei colori preferiti.

Mi sentivo sicura. Avrei vinto contro un milione di eserciti, come Leonida alle Termopili, senza lasciarci le penne, però; anche perché avevo i miei orecchini d’oro massiccio e di giada compatta. Un amuleto. Ed è stata questa consapevolezza a tradirmi.

Perché quando sono arrivata nel parcheggio della palestra, invece di girare il muso della mia macchina verso quello spazio bianco, lasciato apposta per me, mi sono sistemata nel mezzo. Lungo uno dorsale immaginaria che tagliava a metà il parcheggio.

Ho spento il motore. Ho afferrato la mia borsa. Ho aperto lo sportello. Sono scesa dalla macchina. Ho chiuso lo sportello. Con l’incedere di un’amazzone che possiede la sua vita, mi stavo inoltrando verso l’atrio della palestra.

Al quadretto, mancavano solo le note della Cavalcata delle Valchirie.

Una voce arrabbiata ha interrotto l’esecuzione dell’opera.

“Scusi!”

Mi sono girata e ho visto una donna sbracciarsi accanto a un SUV. Era scesa, la poverina, a miracolo mostrare, contaminandosi con le bassezze del manto stradale e lasciando i mirabolanti optionals della sua astronave. Era scesa per sbracciarci verso la mia macchina, in un intreccio di braccia arrotolate e occhi strabuzzati.

“Mi spiace. Sposto subito la macchina!” le ho detto.

E non sarebbe successo niente se non avesse aggiunto altro. Ero stata gentile, no? Avevo evitato il pubblico ludibrio chiedendo scusa. Giusto.

Ma, no. La signora aveva avuto, si vede, una giornatinaaaa perché mi ha investito con un pilotto interminabile sulle buone maniere, che lei non voleva uccidere nessuno, che io dovevo imparate a parcheggiare in modo corretto. che poco più in là c’era un parcheggio giusto per la mia auto — quello che avevo bellamente e di proposito evitato, all’inizio. E che questo e che quello, e blah,blah, blah,

Forse se non avessi letto la paura nei suoi occhi, mi sarei comportata diversamente. Che la sua era la paura dell’arrogante, che per quella pulce di macchina, in cui la sua astronave poteva incappare, già si vedeva dal carrozziere, per via di uno scontro che lei, così saggia, aveva evitato.

Il suo sguardo era pieno di stupore perché una piccola fetecchia come me, cioè la mia macchina, le aveva intralciato il cammino.

E, allora, ho risposto. Sono stata ruvida, tagliente e impietosa.

“Signora, le ho detto, le ho chiesto scusa. Sto spostando la macchina. Non abbia paura per la sua astronave. Un corso di buone maniere glielo faccio io. Gratis.” Ecco, le ho detto più o meno così.

E non è finita qua perché, mentre percorrevo a ritroso il tragitto per raggiungere la mia macchina, che l’operazione lancio-figlia si era conclusa con successo, il vento mi ha giocato un tiro mancino.

Un colpo secco e BAAAMMM, lo sportello della mia macchina colpisce contro la fiancata del bolide accanto e abitato. Da una donna che sobbalza, manco fosse posseduta, e si gira verso di me tra l’allibito, guarda-questa-deficiente e dove-andremo-a-finire-di-questo-passo. Un’espressione deviata sul suo viso.

Mi giro verso di lei con la faccia più brutta del mio repertorio artistico, con la fronte aggrottate, le sopracciglia ridotte in una linea continua, spessa e nera, che si issa sul mio sguardo, le labbra che fremono …eh…Apro lo sportello. Scendo dalla macchina e sono in assetto di guerra.

“Signora, è stato il vento!!!!. A lei non è mai capitato????…é stato il vento, scusi”. le bercio.

E l’occupante becera della macchina accanto, scende, mi raggiunge, mi guarda, come a volere misurare chi ha di fronte e:

“Ma che gentilezza!!! Potrei darle qualche lezione”

“Lei a me???…Tze’….è stato il vento, il VENTO!!!” e mi trincero nella mio carretto armato. Faccio manovra e la lascio ai suoi gesti esterrefatti e sgangherati. Che devo andare alle prove e non posso fare tardi, non posso stare dietro a queste zoranghe illibate che ha mai hanno parcheggiato in doppia fila o sono salite sul marciapiede che due-minuti-e-torno!

Dopo quindici chilometri di stop-and-go, punteggiati da semafori che servono a fare sbollire gli ardori degli automobilisti più temerari, arrivo a destinazione. Mentre il mio super ego brandiva l’indice contro di me: “sei stata poco gentile, troppo reattiva…devi rimediare..in qualche modo…..e visto che non puoi tornare indietro, sei pregata di sentirti in colpa”.

A volte, il meccanismo del senso di colpa prevede che il destino scateni una possibilità di redenzione. Con beffa, nel mio caso.

Così mentre mi avvicinavo alla mia metà e cercavo un posticino per la mia auto, non ho tenuto bene la strada e il clangore di urto me l’ha ricordato. il mio specchietto laterale si era scontrato con quello di un’altra macchina: parcheggiata in doppia fila.

Eccomi mentre corro per raggiungere l’ennesimo ammasso di ferro rombante.

Eccomi, stupefatta, perché al voltante della macchina che ho urtato, in un momento di distrazione, non c’è nessuno.

Cosa faccio? Aspetto?

Aspetto in mezzo alla strada qualcuno davanti a una macchina sneza conducente?

Cose da pazzi!

Mi allontano. Vado al bar che si affaccia sul viale. Prendo un caffè, che ho bisogno di calmarmi.

Pago e ritorno sul luogo del delitto …che questa volta è provvisto di macchina e conducente che si sta avviando per andare chissà dove. Busso al finestrino, sfoderando un sorriso d’occasione e mimando “scusa”.

Lei abbassa il finestrino per sentirmi meglio. Sulla faccia un che-cosa-vuole questa-da-me.

E, io, candida e pronta all’espiazione:

“Volevo chiederti scusa, perché mi sono distratta e ti ho urtata”.

Lei scende con uno sguardo da imbonitrice che ha trovato un pollo da spennare. Guarda i graffi neri che corrono lunga la superficie ed esclama

“Beh, questi graffi, prima non c’erano. Facciamo il CID o mi faccio dire dal mio carrozziere a quanto ammonta il danno?”

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Written by Tiziana Arnone

“I write what I couldn’t tell anyone”. writer. poet, observer. Relationship. Parenting. Personal Growth. Enchanted with life. Thin Skin/amazon.com

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