Il giudice ansioso

Tiziana Arnone
6 min readAug 10, 2019

Accade a volte, quando non c’è più qualcuno a dirci quello che dobbiamo fare e la strada non è segnata. Ma è da disegnare.

C’era una volta un giudice ansioso.

Era così perché la sua mamma,

fin da bambino

gli affidava compiti che da bambino non erano

per esempio:

“Alfredo, vado al supermercato. C’impiego cinque minuti, bada a tuo fratello, se piange, dagli il ciuccio. Controlla il pannolino… non ha fatto la pupù”….e cose di questo genere…

Alfredo si sedeva, buono buono, accanto alla culletta del fratellino e lì, tra i suoi pensieri bambini, cominciava ad affacciarsi una bestia strana che non aveva visto in nessuno dei suoi libri illustrati. Era verde, con gli occhi che dondolavano fuori dalle orbite. La voce come uno squittio che mormorava pericoli impressionanti.

Seduto, buono buono, accanto alla culla del bambino sentiva questo strano mostro che prendeva forma, piano piano, e cresceva e cresceva…

La mamma ancora era via, quei cinque minuti erano da indossare come un vestito scelto senza attenzione. Non erano mai cinque minuti. Molti di più. E Alfredo non sapeva contare.

Quindi aspettava, buono buono, come la mamma gli aveva ordinato. E mentre aspettava, pensava a quello che avrebbe fatto dopo:

  1. .avrebbe costruito un castello, no questo no che poi veniva il terremoto e lo faceva crollare;
  2. no, una torre, no, questa no, perché Rapunzel non abitava più lì;
  3. no, un cavaliere con la spada sguainata, no, questo no, che poi si poteva ferire;
  4. no, avrebbe afferrato le zanzare con un dito solo, no, questo no, che poi si sarebbe punto e che cosa avrebbero detto gli altri bambini del suo gioco?

Meglio aspettare e valutare quello che non avrebbe fatto.

Divenuto più grande, Alfredo incontrò una donnina piccola. Aveva le mani piccole. I piedi piccoli, il viso piccolo. Un altro fratello piccolo, insomma, a cui badare.

La lasciò a casa e le disse: “Io vado a lavorare. Tu resta qui, buona buona, che torno quando avrò finito la mia giornata. Stai attenta al gas. Chiudi bene le finestre. Non abbassare le serrande. Se vai al supermercato non parlare con gli estranei, tieni gli occhi bassi, mi raccomando…”

Finiva ogni frase in questo modo perché non si sa mai da dove poteva venire quel pericolo che la portava via da lui.

Alfredo era divenuto sua madre.

Anche dietro al suo scranno, mentre ascoltava storie diverse di vite diverse, tutte interrotte, a un certo punto, e che normali non sarebbero mai tornate, ascoltava e pensava, come quando faceva la guardia a suo fratello più piccolo, che adesso viveva in giro per il mondo, senza una dimora, che la sua casa era il mondo.

E lui restava lui.

Ascoltava. Pensava. Valutava. Emetteva un giudizio secondo il dettato imperituro della legge.

Alfredo era un giudice bravo perché era ansioso, vedeva il pericolo dove avrebbe potuto esserci. Amministrava la giustizia prima che questa si manifestasse.

Non aveva figli. Solo quella moglie piccola alla quale dire tutto e tutto vietare. Ma alla moglie non poteva impedire di pensare.

Così quella donna, piccola e minuta, con le mani piccole e le dita piccole, come quelle di un bambino, dalla crescita interrotta, prese carta e penna. Lo faceva di mattina, quando la casa era avvolta nel sonno e l’occhio vigile di Alfredo giaceva assopito sotto la palpebra, come un faro senza guardiano. Prendeva carta e penna e si issava sulla sedia del soggiorno, la stanza più vicina alla porta d’ingresso, e iniziava a scrivere.

Pagina dopo pagina quella storia diventò un libro.

Parola dopo parola, si accorse che la sua storia era la storia di Alfredo, il giudice ansioso, che era nato grande da una mamma bambina.

I giorni passarono e divennero mesi. ogni mattina con le mani piccole e meticolose, arricchiva il racconto di un particolare, di un episodio, perché non si può divenire perfetti, ma la costanza e la ripetizione di un gesto aiutano tanto.

La storia della donnina piccola, che parlava di Alfredo, prese forma di un libro. Cosa ne fai di un libro?

L’hai letto e riletto. Aggiustato e limato. Tolto e aggiunto.

“Idea!”, pensò la donnina. “Lo mando in giro per il mondo come il fratello di Alfredo, come quel figlio che non ho mai avuto”.

Comprò una busta grande e spessa per proteggere e nascondere il suo tesoro.

E la indirizzò al signor Eustachio Barberini, noto editore di storie e di poesie.

L’aveva sentito parlare alla televisione, quella donna piccola che pensava che, un giorno, tutto le sarebbe servito, anche quella clausura. Anche quel confine, quel matrimonio.

Il signor Eustachio Barberini sonnecchiava sulla sua poltrona quando la segreteria arrivò con il plico. Avvolto nella carta spessa e tenuto insieme da uno spago, spesso altrettanto. La scritta del destinatario con una penna stilografica, una cosa antica, qualcosa di nuovo. Qualcosa che avrebbe potuto vendere.

Inizio a leggere e non si fermo più

Il signor super mega editore pubblicò la storia. La diede in pasto ai suoi lettori provvisori, improvvisati e assidui.

Dell’autore disse nulla.

Una coltre di nebbia spessa, come quella che avvolge certi tratti d’autostrada su, al nord, a dicembre, perché i bambini non vedano chi sia davvero Babbo Natale. Una coltre di nebbia attorno all’autore, a meno del nome: uno pseudonimo, per l’appunto.

Il signore Eustachio comunicava con il suo autore, punta di diamante, tramite il fermo posta, neanche fossero amanti clandestini.

Una cosa così tanto antica e desueta che al signor editore pareva di essere un Robinson novello alla scoperta della pietra filosofale. Una cosa così strana e bizzarra che sapeva di clessidre e orologi a cucù, quando ancora c’era il tempo sensato di annusare le pagine e l’inchiostro di un libro appena stampato, per misurarne la scala di sapore e di bontà. Quando ancora le parole divenivano pietre incandescenti e i lettori avevano voglia di viaggiare e di conoscere altri mondi di belle storie senza fare il check-in.

La donnina piccina sapeva bene come muoversi e come aggirare le paure di Alfredo, ecco perché si era nascosta dietro a un nome che non era il suo.

Ebbe un fremito di gioia, lacrimosa e sincera, quando in TV, a tutto schermo, apparve la copertina del suo libro e, quasi subito, la faccia rubizza del signor Eustachio Barberini e i suoi baffoni che si schiudevano in un sorriso come il più orgoglioso dei padri.

In un altra stanza, in una strada poco più in là degli studi televisivi, quel giorno, Alfredo, faceva qualcosa di inusuale per un giudice ansioso. Accese la TV perché non riusciva a pensare.

Vide anche lui il servizio.

E corse in libreria, alzando una folata di vento che lasciò la segretaria e i suoi collaboratori a bocca aperta, che il signor giudice aveva sempre un passo attento e giudizioso che non si sa mai poteva cadere.

Corse in libreria a comprare il libro. E iniziò a leggerlo e non si fermò più.

E si vide in quella storia.

E corse ancora e di nuovo, una seconda volta: un fatto del tutto singolare.

E corse a casa dalla sua donnina piccola. Che aveva capito tutto di lui.

La liberò e liberò se stesso.

Andarono insieme al negozio di nautica.

Per comprare un battello e affittare uno skipper per fare il giro del mondo, che ancora un timone non sapeva tenerlo, il signor giudice. Ma avrebbe imparato perché non aveva più paura.

Anzi no, avrebbe lasciato che imparasse la donnina, la sua cavallerizza che gli aveva donato un’altra possibilità.

Anzi, no. Avrebbero imparato insieme…il giudice ansioso era divenuto indeciso.

Accade a volte, quando non c’è più qualcuno a dirci quello che dobbiamo fare e la strada non è segnata. Ma è da disegnare.

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Written by Tiziana Arnone

“I write what I couldn’t tell anyone”. writer. poet, observer. Relationship. Parenting. Personal Growth. Enchanted with life. Thin Skin/amazon.com

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