Grace, Muriel, Agatha

Capitolo I
Grace, non ti amo più
Volti smunti, ma lo sguardo ancora regge. il popolo femminile della casa di Oleander Street vi si aggirava con fierezza. Ancora. Ma sbeccata.
Muriel, Grace e Agatha la sapevano lunga in tema di resistenza al dolore d’amore.
Si crogiolavano al sole di una certezza: sarebbero state respinte. il punto era come resistere a questo dolore, quale storia sarebbe stata più surreale. era questo l’antidoto al dolore dell’assenza: il tasso di surrealtà che avrebbe creato uno scudo senza increspature in grado di proteggere un cuore ridotto a brandelli.
Non ti amo più. Grandissimo livello di surrealtà se viene pronunciato una settimana dopo avere ricevuto un anello.
Grace se lo rimirava all’anulare sinistro, il dito del cuore.
La fascetta sottile. Un puntino rosso rubino che brillava sicuro e placido. Con quella mano, vestita di una promessa d’amore eterno, affrontava i giorni, le sgomitate tra i banchi dell’università, le cagnare lamentose della padrona di casa per un affitto basso, decisamente basso.
Ma Grace, adesso, aveva uno scudo. Per i suoi vent’anni.
Eppure…Eppure, una settimana dopo, appena, quando il sole aveva compiuto solo per sette volte il suo giro in cielo, le nubi si erano ammassate, baldanzose e minacciose, sul quel vestito.
All’improvviso, come un temporale estivo, era rientrata in casa. Non aveva neanche sbattuto la porta d’ingresso (segno inequivoco di una rabbia furente). No, lei, aveva percorso il pavimento di marmo del corridoio quasi sospesa per raggiungere la sua stanza e sedersi sul letto.
Era rimasta lì. Immobile con parole incredibili — surreali — che le ronzavano nella testa, chiedendosi perché proprio a lei, perché adesso. Inanellando spiegazioni silenziose che poteva ascoltare solo lei. Ma aveva bisogno di questo, di questa solitudine rarefatta, per continuare a nutrire il livello altissimo di surrealtà di quel “non ti amo più”.
Per 15 anni, in fondo, è rimasta seduta su quel letto. A chiedersi perché. A rimuginare. Anche se il cuscino di quel letto ha ospitato altri corpi maschili in cui nascondersi, confondersi. Forse da amare.
In fondo per 15 anni è rimasta seduta su quel letto anche se si è accontentata di lavori senza passione perchè doveva dare un senso al suo “stare”.
E così il suo mondo era girato con quello strano sentore di fissità e, proprio per questo, lo aveva animato appassionandosi al tango, acquistando innumerevoli collezioni di tangueri, sessualmente attivi, che la collezionavano, liberi e selvaggi, un altro modo per dire decuorificati e che praticavano la spudorata arte del tradimento e dello svilimento. Così si era data, saltuariamente, allo swing.
Ed ecco che, dall’altra parte della città, c’è un locale supercool per praticare lo swing. E proprio quella sera, Grace ha deciso che ci andrà. Ha l’umore giusto. Ha ritrovato quella gonna che non sapeva di avere, per cui, quella sera, indossa una cosa nuova. Non ha bisogno di qualcosa di blu. Solo di un parcheggio per la sua auto. Stasera si merita che tutti fili liscio. Soprattutto, si merita di accompagnarsi da sola, in auto, a perferzionare lo swing. E ci va. Raggiunge quel posto. Trova parcheggio. Proprio lì accanto, chi lo avrebbe mai detto! Pensa che sia una coincidenza troppo ghiotta per non sembrare necessaria.
Scende dalla macchina.
Sicura.
Non tentenna sui tacchi.
E’ bella, si sente bella.
Da fuori giungono le note. Apre la porta, ne è invasa. Questo è uno stordimento dolce. Alzo lo sguardo per incrociare volti conosciuti, ci sono degli amici che la stanno aspettando. E poi: lo vede. E’ lì accanto al bar che parla fitto, fitto con un ragazzo. E poi: lo riconosce, anche se è più basso di come lo ricordava (la surrealtà ha bisogno di altezza). E poi: si ritrova seduta sul materasso di quel letto, nella sua stanza, come 15 anni prima.
Dalla sua visuale, può vedere senza essere vista. Scende gli scalini. Inebetita e convinta che anche questo doveva succedere (la surrealtà si nutre del necessario). Si avvicina al bar. Non c’è più nessuno. Solo il vuoto perché i suoi pensieri si stendono meglio, perché per volersi bene basta davvero poco. Lo stesso “poco” che serve attraversare quella decade e un lustro che le si è aggrovigliata nell’anima.
Lo saluta. Le dita si stringono in una stretta di mano neutrale.
Grace, generosa, si tende alla conquista del suo visso. Lo bacia. Uno schiocco. Lui ricambia. Gli chiede come stia, dopo tutto quel tempo. Lui si sposta per lasciare spazio a lei, all’altra (l’arpia?). E’ minuta e porta gli occhiali e guarda Grace con poco entusiasmo.
E’ sua fidanzata che marca il territorio, senza paura alcuna. Lo abbraccia e, tra seduzione e appartenenza, gli ricorda che devono raggiungere gli altri. Lui si alza. Si scuote il ricordo o la polvere dal ricordo di Grace.
E finisce così. In una consapevolezza furente di normalità.
Grace pensa che dovrà alzarsi da quel letto, in fondo.