Dialoghi/Platone.
Una recensione.

Quando ero all’università Dario Antiseri, alla fine di ogni lezione, avvicinava il suo sorriso al microfono e sussurrava: “… e, mi raccomando, diffidate ... diffidate della televisione…” una digressione personale per iniziare il mio commento a Dialoghi/Platone, scritto (con intensità) e diretto (con essenza) da Giovanni Franci, con Paolo Graziosi (magistrale) Giamarco Bellumori (giocoso e sfrontato) Alberto Melone (salace e cantastorie) Riccardo Pieretti (carnale e beffardo) Fabio Vasco (intenso e sanguigno), andato in scena, dopo mille e una fantasmagorica replica, al teatro OFF OFF e che ha concluso ieri il suo accadere a Roma. Ma non si fermerà qui e me lo auguro, me lo auguro di cuore, perché questo è uno spettacolo da vedere.
Una digressione personale che si fonda sull’importanza del dubbio per raggiungere la verità e intendere cosa sia la libertà. Veramente.
Lo strumento? L’ironia.
Il titolo dell’opera, intanto. Ne è intriso. Il medium del vero filosofo è questionare con ironia. Il vero filosofo? Socrate, colui che ci ha insegnato a pensare, a dubitare, che ci ha piombato nell’inquietudine, dopo avere scardinato ogni spiegazione tangibile dell’agire umano, a cominciare dal (non tanto) dorato mondo degli dei. Colui che, infine, ha stigmatizzato il fine di ogni azione umana: la felicità.
Socrate è il protagonista, quindi; è il padre ideale di Platone; è colui che discetta e si interroga e interrogandosi, non si accontenta. È colui che sa mettere a nudo e scarnifica e, spogliandoci delle nostre certezze, ci rende vulnerabili, esposti.
Il testo è un esempio di meta-teatro, laddove si ricorda, inoltre che “siamo attori, facciamo finta. Fare finta è l’unico modo che abbiamo per dire la verità”. Dove si guarda un impianto scenico ridotto all’osso, perché ciò che conta sono le parole, i vestiti di fatti integri che si adornano di gesti, a cominciare da quelli iniziali degli attori che si muovono, come in una palestra, allenando i muscoli scenici e gorgheggiando con la voce. E poi c’è la musica, azzeccatissima, che ti fa battere i piedi dalla tua poltrona di velluto rosso, gli occhi puntati sula scena.
E poi c’è lui, Socrate… e Critone, Fedone, Alcibiade, tutti legati alla vita del filoso, tutti portatori di un messaggio univoco che si snoda tra amore e morte: lo iato, irrecuperabile, tra essere e dovere essere, quando impariamo a pensare; quando scopriamo il nostro io, dal quale non possiamo fuggire.
Un’ora di parole, misurate e scelte con cura.
E alla fine è bello dire “grazie”. Stringere le mani degli attori e del regista. Incontrare i loro sguardi pieni ed emozionati. Ritorni a casa pensosa e …canticchiante.