
Anna
Con la disinvoltura che contraddistingue i disperati, ogni mattina, o quasi, controllava le tasche dei pantaloni dell’uomo, alla ricerca di monetine.
A volte, se erano troppo poche, non prendeva nulla, altre faceva manbassa.
Era la sua assicurazione, solitaria e sottratta all’uomo, di potere contare su qualcosa per spese piccole e perché lui glielo doveva. Dal punto di vista di Anna, chiaramente.
Ogni mattina, quella mano frugava nelle profondità buie della stessa tasca di un pantalone, diverso e afflosciato sulla poltrona; sottraeva qualcosa al debito che lui le doveva pagare.
Il debito, il credito: i personaggi accreditati nell’anima di Anna per un’immediata, quanto pezzente, legge di compensazione.
Lui non le chiedeva di cosa avesse bisogno. Di nascosto, come una ladra, lei sottraeva. Le briciole, s’intende, o gli spiccioli. Nulla di eclatante perché il furto passasse inosservato. E mai dalla tasca posteriore del pantalone, da dove affioravano le banconote. L’aveva fatto una volta, 5 dollari, contributo spese pe le sigarette. Ma non aveva mai più saldato parte del suo credito con quello che trovava nella tasca di dietro del pantalone. Conosceva la reazione dell’uomo: avrebbe dato di matto perché sapeva esattamente il contenuto danaroso della sua tasca, confuso tra scontrini e ricevute di carte di credito. Per questo Anna si limitava alla tasca davanti, quella degli spiccioli, perché in fondo andare avanti sarebbe stato un azzardo, perché le dispiaceva, perché, soprattutto, sapeva accontentarsi. Delle briciole.
Aveva appreso l’arte di non dare nell’occhio. Ma dentro di sé bramava che qualcuno le dicesse che tutto sarebbe andato bene. Solitudine chiamava solitudine e, a volte, si domandava se l’uomo sentiva, da quel lato, la tasca meno pesante di come la ricordava. Se aveva capito il suo gioco, la sottrazione di Anna e, semplicemente, la assecondava, in silenzio. Che silenzio chiama silenzio ed è più facile non vedere quello che non vogliamo affrontare.
Così, Anna, andava avanti, ogni mattina.
A una certa ora, quando ancora la casa era avvolta nel silenzio, quando poteva sentire i suo pensieri, confusi, vorticarle in testa, prima che lui si svegliasse, entrava nella stanza. Si riservava di guardarlo, mentre dormiva, per pochi secondi: il volto rilassato, in su verso il soffitto. Un uomo che affrontava la vita di petto. Gli riservava qualche secondo per guardarlo respirare. Intendere, da sotto le lenzuola, che era vivo. Lo guardava poco. Il tempo necessario per sapere che dormiva. Ma lei lo sapeva già. Quello di Anna era un vezzo. Il gusto di guardarlo mentre era indifeso, nel sonno, uguale agli altri. Il gusto di vederlo tornare bambino. Era il suo tempo per la tenerezza. L’unico che gli concedeva, non vista. Appunto.
Poi l’urgenza la smuoveva dal suo torpore. E con gesti precisi e lenti dava inizio a un’altra danza. Si chinava sul pantalone. La mano, con un colpo silente, era già nella tasca. Affondava dentro e saggiava la quantità. Anna riconosceva al buio, il frutto del bottino.
A volte si limitava. A volte di abbuffava, sospesa tra anoressia e bulimia, senza fare torto a nessuna pulsione che soddisfacesse un bisogno non colmato.
Chiudeva la mano a pugno.
Percorreva il corridoio
Arrivava al portafoglio e infilava le monete senza sobbalzo o pentimenti quando le sentiva tintinnare.
Chiudeva la cerniera del porta-spiccioli.
Immaginava che poteva comprare un litro di latte in più (magari il quello che le piaceva tanto). O una confezione di biscotti in più. Se la voglia di dolce la assaliva, a letto, di sera e sentiva il bisogno di masticare a masticare, senza sosta per un bisogno incessante a cui non sapeva dare un nome.
Una confezione di biscotti in più per sfamare, a colazione, la sua piccola.
Sottraeva per sentirsi indipendente, nel poco. Pochissimo.
Sottraeva per non chiedere. Chi chiede è nel bisogno, Anna era semplicemente stanca di essere nel bisogno.
Si arrabattava, allora. Sottraendo.
Vive di espedienti, come i disperati, per non sentire la stanchezza del passato e l’ansia del futuro. Si fissava in un presente avvincente. Sottrarre dalla tasca dell’uomo per solitudine e silenzio. Perché non sapevano più parlarsi e Anna aveva bisogno di non sentire, più, tutta quella rabbia.
Se proprio doveva accontentarsi, avrebbe scelto lei il modo. Forse, così, il mondo le si sarebbe aperto davanti, le avrebbe ceduto il passo perché sapeva dove andare.