11_mo: santificare l’amore

Ormai lo contava in mesi.
Contava in mesi, il tempo trascorso dall’ultima scopata con suo marito.
Si domandava cosa sarebbe successo se quel vuoto avrebbe colmato un anno. Era il segno che il loro matrimonio era attivato al capolinea o si era trasformato in qualcos’altro. Che avevano santificato il loro amore, privandolo della carne, in un’ascesi terrena, non conforme. Dura da intendere.
Edith ed Edgar avevano preferito la lussuria confortante del divano, l’accidia inaspettata della pigrizia, l’insicurezza dei propri corpi, che anche questo è mancanza di desiderio. Rinuncia. Quanti volti ha la rinuncia?
Edith se lo domandava ogni volta che ritornava indietro nel tempo. Che, all’inizio dei loro incontri, bastava vedersi per eccitarsi. Questo era il segno, che si erano trovati. Finalmente.
Questo le bastava perché si sentiva soddisfatta, certa del suo potere seduttivo. Il suo solo apparire confortava pagine e pagine di letteratura sul piacere maschile, che è tutto occhi.
Una passione così immediata, così bruciante, non poteva che essere vissuta, consumata insieme.
E tuttavia, doveva ammetterlo, aveva sempre finto. E non perché non sapesse di quella sensazione culminante tra piacere e dolore, semplicemente, perché Edgar, non sapeva farle perdere il controllo.
All’inizio, avevano bisogno di annusarsi, senza barriere. Di sentirsi. La grana della pelle, il peso del corpo, l’una sull’altro. Quello scivolare e riempirsi l’una dell’altra, in modo struggente. Quel movimento ritmico: dentro-fuori, dentro-fuori. Quei baci disseminati sul periplo dei loro corpi. La deflagrazione dolente dell’orgasmo.
All’inizio, si sfinivano a vicenda, stupiti di esserci incontrati e di volersi così.
Eppure, con lui non si poneva limiti. Gli aveva offerto tutto. Con le braccia aperte, un burattino tra le sue mani che si riempivano del suo corpo.
Lui godeva nel sentila fremere, soggiogata. Edith aveva smesso di combattere. Pronta ad aprirsi più e più per lui. Per lui solo.
Edgar non si risparmiava. Era un amante generoso. Tratteneva fino a sentirla appagata. A volte esplodevano insieme. E poi rimanevano così. I corpi allacciati. Il respiro che, lento, ritornava al suo ritmo. L’odore dolciastro del sudore. In quel momento, il tempo smetteva di scorrere.
All’inizio, Edgar la svegliava, di notte, con l’urgenza di un desiderio che non sapeva dire da dove provenisse: era lei, semplicemente e non si capacitava di come una come lei, fosse lì, accanto a lui, pronta a schiudersi per lui, a succhiarglielo fino a stare male, a non poterne più. E a volerne ancora.
Era cominciato così, infatti. Quando la svegliava di notte, Edith voleva fare finta di dormire, resistere. L’atavico richiamo del compiacere, la scuoteva e disiderava che facesse subito, presto. Che venisse presto.
Poi, l’intimità si capovolse del tutto. Un figlio che sorprese entrambi.
I loro incontri divennero privi di colore. Bisognava fare in fretta. Niente contatto tra i corpi. Solo un infilare, un fare centro, per una soddisfazione a lungo trattenuta, che un uomo non sa intendere che una donna è anche madre, non solo la sua puttana. Ha bisogno di più tempo per realizzare che quell’altro corpo non è un usurpatore. Che bisogna lavorare e trasformare. Ha bisogno di più tempo per non sentirsi escluso da una diade assoluta. alcuni non intendono. Edgar era del gruppo di questi alcuni.
Quindi, i baci divennero stentati. Gli abbracci muti e pieni di orgoglio.
Edith non pensava neanche lontanamente di andare a prendersi la sua animalità da femmina. Aspettava. La cosa che sapeva fare meglio. Che, forse, alcune donne sanno fare meglio. Quelle che diventano madri.
Aspettava che fosse lui.
Parlava. Un tratto femminile, di quelle vignette che verdi su una striscia di giornale e ti strappa una risata. amara, adesso, a ripensarci.
Gli diceva quello di cui aveva bisogno, ma quelle parole si sbriciolavano in mille corpuscoli, si disperdevano nell’aria che li accomunava, si addensavano sui mobili, che Edith non spolverava. Decomposta lei, decomposta la casa. momentaneamente, almeno.
Non andava a prendersi quello che voleva perché temeva: di essere respinta, di non sapere cosa voleva davvero; ma ancora di più perché lui non sapeva — a questo punto della storia — non aveva mai saputo come prenderla. Come farla venire. Che adesso le barriere dei vestiti svilivano e lei aveva bisogno che lui la confermasse nel piacere. Che le sue mani lambissero questo suo nuovo corpo di madre. Rassicurazione. Questo cercava, in quegli abbracci muti e risentiti.
Si diceva che certe verità bisognava guardarle in faccia e non era detto che questo bastava per agire in modo risoluto e costruttivo.
Preferiva contare il tempo accumulato in mesi e, in fondo, non umiliarlo, perché aveva realizzato che la sua passione, quella di Edgar per lei, si era addensata in un bruma limacciosa. Semplicemente non la scopava. Le faceva pagare lo scotto di avere preferito il figlio. Si negava.
Ecco quello che pensava. Edith contava i giorni, allora, convinta che la soglia di un “anno-senza” avrebbe decretato, al loro posto, la fine.